Quando le cose non hanno più bisogno di essere dette
Ci sono idee, battaglie, posizioni che a un certo punto smettono di aver bisogno di essere dette. Non perché abbiano perso significato, ma perché sono diventate parte del come si vive.
È quello che emerge ascoltando il racconto intorno a Zohran Mamdani, nuovissimo - in tanti sensi - sindaco di New York (Eugenio Cau, L’esperimento socialista di Zohran Mamdani, con Luciana Grosso, IlPost) che ha potuto dare per scontata la propria posizione culturale e politica.
Non perché indifferente o vuota di significato, o qualunquista, ma al contrario perché già interiorizzata. Quella macrobase solida, quella sovrastruttura implicita, gli ha consentito di concentrarsi su temi apparentemente più micro, la vita quotidiana, l’abitare, la mobilità, senza dover ogni volta spiegare da dove guarda il mondo.
Questa idea del potersi permettere di dare per scontato mi ha colpita come mi colpiscono tutte quelle riflessioni che, quando le sento o le leggo, mi sembra di condividerle da sempre, mi suonano familiari, ataviche, parlano la mia stessa lingua.
Credo che sia un privilegio e una conquista: quella di quando le cose in cui credi non hanno più bisogno di essere dichiarate, perché coincidono con il modo in cui esisti.
È un po’ la differenza tra agire e agito. L’agire è la scelta, l’intenzione, il gesto consapevole. L’agito è ciò che resta quando.
È la stessa differenza che passa tra dire una cosa e incarnarla, tra spiegare un’identità e lasciarla riconoscere.
Ora vi sembrerà scollegato, ma seguite il mio flow.
La settimana scorsa ho letto di come nei social prevalgano le nicchie e i profili non commerciali: figure che emergono non per grande visibilità (o quantità di followers, e le due cose non sono per forza connesse) ma per densità, spessore, peso specifico, perché hanno un background costruito al di fuori dei social, spesso in tempi non sospetti, culturale, artistico o professionale, che conferisce autenticità e profondità.
Ecco, forse siamo entrati in un tempo in cui la reputazione sostituisce la dichiarazione. Non serve più dire chi sei, basta mostrare cosa fai, come ti muovi, cosa scegli di raccontare o di tacere.
Questa riflessione tocca in modo speciale la storia di Melidé. Negli anni abbiamo costruito un’identità che parla di etica, lentezza, manualità, dimensione culturale e affettiva. Capo dopo capo, tessuto dopo tessuto, ricamo dopo ricamo, non abbiamo semplicemente dichiarato che eravamo così: lo abbiamo reso parte del nostro modo di stare al mondo.
È il nostro agito.
I nostri principi – ecosostenibilità, etica, qualità, durabilità, artigianalità – non sono diventati un manifesto da esporre a ogni post (anche se l’algoritmo lo richiede, fortemente), ma un’impronta costante nelle scelte che facciamo.
Forse è questo che succede quando una visione si sedimenta: non la si racconta più, la si abita.
Io penso che questo maglione, con tutte le sue caratteristiche visibili o meno, che abbiamo battezzato Forever Sweater per valorizzarne la durabilità – in senso concreto e perché non “scadrà” come un qualsiasi trend – sia l’espressione perfetta del nostro agito.
L’abbiamo fotografato non davanti al Duomo di Milano, né su una scalinata iconica o in un hotel stupendissimo, ma ad Albano, il luogo dove tutto questo prende forma ogni giorno. Perché per me la bellezza è nelle cose quotidiane, in quella base solida e reale che permette di costruire l’eccezionalità.
Io credo sia proprio questo che rende il Forever Sweater quello che è: un maglione che non vuole apparire, ma restare.
Frame di uno dei pochissimi video (se ci penso mi viene da piangere) che ho di questa giornata di shooting ad Albano, la mia città. Qui siamo sopra i Cisternoni, costruiti tra il II e il III secolo d.C. per rifornire d’acqua la legione Partica: un’enorme basilica sotterranea scavata nel tufo, un capolavoro di ingegneria romana ancora oggi funzionante dopo duemila anni.
