Chiariamoci subito: se non fosse un testo scritto e in questo contesto, la parola dozzinale sarebbe sostituita da un'altra, ma andiamo oltre.
Immaginate di alzarvi un lunedì mattina di gennaio, che di per sé è non affatto entusiasmante, e di aprire Instagram. Vi aspettate le solite foto del gatto di vostra cugina in versione pigiamino (che tuttavia è sempre delizioso), qualche scatto di colazioni fin troppo perfette, selfie illuminati da una luce che nessuno riesce mai a replicare nella vita reale, foto di libri aperti su tavolini vintage accompagnati dalla caption “new year, new me”, invece ecco che vi imbattete nell’ennesimo “Ricordiamoci che oggi è il giorno più triste dell’anno!” con tanto di hashtag #BlueMonday. Allora immagino vi chiederete: ma sul serio?
Quanto è carina lei però?
Partirò dal vocabolario, perché è la definizione è sempre un buon punto di partenza, sopratutto per chi ha la fortuna di non sapere cosa è il Blue Monday. Il termine “Blue Monday” fa parte di quel genere di pseudo-scienza che ha iniziato ad attecchire nell’epoca del clickbait dei primi anni Duemila (rieccoci nell'Y2K, ma non lo faccio apposta). Ha avuto origine da un comunicato stampa, in questo caso ben finanziato da un’agenzia di viaggi. L’asserzione? Che il terzo lunedì di gennaio sia scientificamente il giorno più deprimente dell’anno. A quanto pare, uno psicologo avrebbe usato una “formula” (stabilita sulla base di variabili come il meteo, i debiti post-festività e i livelli di motivazione) per identificare il momento esatto in cui la nostra malinconia collettiva tocca il picco.
Spoiler: la formula non regge. È stata immediatamente bollata come mero esercizio di marketing, smentita dagli studiosi e smascherata come trovata pubblicitaria per vendere più pacchetti vacanze. Eppure, la leggenda del Blue Monday continua a tornare puntuale ogni gennaio, proprio come un’influenza stagionale. Ma invece di febbre e raffreddore, diffonde una malinconia vaga e una raffica di cliché sui social.
Un close up che avrei potuto usare lunedì come post, ma ve lo spiego dopo.
QUANDO IL PRETESTO DIVENTA PIÙ TRISTE DEL LUNEDÌ STESSO.
Parliamoci chiaro: non è tanto questione di credere o meno all’idea che esista il giorno più triste dell’anno. Che voi siate convinte, scettiche o semplicemente indifferenti, ciò che davvero stona è vedere persone e brand aggrapparsi al “Blue Monday” come a un salvagente per gonfiare l’engagement. Quel “secondo uno studio questo è il giorno più deprimente…” viene usato come scusa per infilare ovunque foto di tazze di tè malinconiche e meme riciclati sul meteo uggioso. Il problema? Tutto si riduce a uno stratagemma per dire, in fondo, “Ehi, oggi è un giorno speciale, mettete like e commentate”. E, nel 2025, l’idea che l’intera esistenza di un trend sia solo un pretesto per far parlare di sé è diventata decisamente vecchia (non uso demodé perché, nel mio vocabolario, demodé ha un'accezione positiva, e credo ne riparleremo). Perché, se davvero vogliamo discutere di malinconia, di inizio anno faticoso o di qualsiasi altro aspetto della vita, ci sono mille modi più interessanti (e meno scontati) per farlo.
Per questo motivo, lunedì non vi ho detto nulla di questa novità: finalmente sono tornate le T-shirt blu nel nostro catalogo. Infatti proprio lunedì, quando mi sono resa conto che ricorreva l'ennesima giornata inventata dal calendario degli ecommerce, ho pensato di slittare di qualche giorno l'annuncio per scriverne. Volevo evitare di sembrare più boomer di quanto non sia già. Ma oggi eccomi qui, senza il rischio di indicizzare, di fare engagement o di comparire in qualche ricerca tramite hashtag. Potevo fare qualcosa di meno commerciale come pubblicare un testo sul Blue Monday due giorni dopo il Blue Monday? Così, con la certezza di non esistere per Google quest'anno e di produrre un contenuto inutile, che nel 2026 sarà già troppo datato per comparire nelle ricerche? Sì, per la gloria faccio questo e altro, se esistesse un festival della controproducenza sarei sul podio.
Non so se lo avete notato, ma questo punto di blu è stupendo: né troppo scuro né troppo chiaro. Innanzitutto, non sono fan del blu elettrico (e ricordiamoci che l’ultima volta che ho usato la parola “fan” era in riferimento alla poesia crepuscolare, ci tengo). Insomma, non volevamo il blu elettrico perché sarebbe un amore fuggevole, non duraturo, né volevamo un blu notte, il cosiddetto oltremare, troppo scuro e troppo vicino al nero. Non perché non mi piaccia (anzi, lo adoro), ma volevamo qualcosa di un po’ meno fraintendibile con il nero, per due motivi: il primo è che, se lo si accosta al nero, si deve vedere chiaramente che è blu, dev’essere esplicito (come esplicita è la mia nuova borsa tamarra). Il secondo è che chi ancora non è entrata nel club del blu con il nero potrà farlo con più sincerità, dicendo con quello che indossa: “Ok, ci sono anch’io, ho messo il blu con il nero, non mi sono confusa vestendomi al buio, volevo davvero fare questo accostamento.”
Immaginate un blu tanto profondo da farsi prendere sul serio, ma non così cupo da sembrare un abito da sera indossato di giorno. Il blu navy è proprio questo: classe senza sforzo, come se fosse nato già con un blazer sulle spalle. È il colore delle uniformi britanniche, ma funziona benissimo anche per un momento casual e quotidiano. Tipo quando in inverno voglio indossare solo i miei soliti jeans e un maglione oversize, per giorni: eccovi dunque la versione estiva, i soliti jeans e una T-shirt unisex taglia L o XL, con un ricamo discreto. In genere aggiungo un filo di rossetto rosso, la mia nuova borsa tamarra e via, scendo in strada pronta fare qualsiasi cosa, o quasi.
Da oggi trovi l'opzione "blu navy" nel menù di tutte le T-shirt ricamate, nel modello unisex. Allego screenshot didascalico.