Cosa succede quando cambiamo senza smettere di somigliarci?
L’arte di restare, cambiando.
Sono un'abitudinaria con un grande spirito di adattamento rispetto ai cambiamenti. Le due cose sembrano in contraddizione, ma in realtà convivono in un personalissimo equilibrio che mi tiene in piedi. Il mio bisogno di ritualità, unito alla capacità di adattarmi, crea un meccanismo di sopravvivenza: quando sono costretta ad abbandonare un’abitudine che amo, eleggo la novità a nuova abitudine, come se avesse già in sé le caratteristiche intrinseche del concetto di abitudine.
La ripetibilità, che applico con zelo (sapete che sono una fan della ripetizione e se mi dite che noia vi rispondo che la noia è amica, come la mia excoinquilina diceva della muffa), la prevedibilità, che mi diventa subito un punto d’appoggio mentale, la funzione rassicurante, strumento fondamentale a smorzare la paura del cambiamento, la valenza identitaria, perché ogni nuova abitudine è anche un modo per ridefinirmi (come le abitudini che mi inventavo per preparare un esame all'università, ma forse a questa storia dovrei dedicare una newsletter a parte) e la tendenza a stabilizzarsi, perché una volta accolta nel mio ecosistema, difficilmente la mollo.
Quando mi chiedono perché ho fondato un brand con core business basato sulle T-shirt rispondo sempre che è la traduzione del mio essere noiosa e ripetitiva: quando mi piace qualcosa la voglio in tante diverse versioni.
La stessa, ripetuta ma non ripetuta veramente. Questo brand si è un po' modellato su questo, il mio essere abitudinaria e la mia predisposizione a ripetermi, pur cambiando. O a cambiare, ripetendomi: mi sa che è un concetto palindromo, se palindromo può essere applicato al pensiero.
E così succede che ri-produciamo le stesse cose. Ci affezioniamo facilmente alle forme: se una cosa veste bene, non cambiamo nulla del suo design. A cambiare è il tessuto, e ogni volta è un piccolo colpo di scena, perché cambia il colore o la stampa, la lavorazione, la grammatura, la fibra di cui è composto e di conseguenza cambia il modo in cui quella forma familiare si muove, cade, respira. Lo stesso capo può diventare più strutturato o più fluido, più estivo o più trasversale, più quotidiano, easy, o più speciale, perché il tessuto racconta una nuova, diversa storia. Ed è proprio qui che si gioca tutto: nella ripetizione, ma con variazioni che fanno la differenza, grazie a un escamotage che ci fa sentire familiare qualcosa di nuovo. Come una nuova abitudine che diventa abitudine ancora prima di essere ripetuta e interiorizzata.
Ogni capo è il riflesso di un’abitudine che ha accolto una variazione: una nuova materia prima, un nuovo deadstock messo in salvo, un nuovo equilibrio tra forma, modello, composizione. È il nostro modo di restare fedeli a noi stesse, lasciando sempre spazio a qualcosa che non avevamo ancora previsto.
Gonna e camicia sono realizzate con lo stesso tessuto deadstock, un morbido mix di viscosa (97%) ed elastane (3%). Il completo non fa “troppo” né appesantisce: la viscosa è leggera e fluida, non crea volumi rigidi e cade morbida sul corpo. Per questo sono due capi perfetti se indossati insieme.
Entriamo nello specifico: cosa abbiamo ripetuto, rimesso in produzione, riabitudinizzato?
La gonna con lo spacco, detta anche la "cugina" dei Pantapijama (qui alcuni sopravvissuti ai saldi) perché è chiaramente la loro versione-gonna, e la nostra camicia, nell'ultima versione con il collo a punta e gli spacchetti laterali.
Iniziamo con il completo gonna e camicia a righe sottili azzurro e bianco. Se vi immaginate vestite così mentre fluttuate sul vostro terrazzo con un bicchiere di vino, o mentre passeggiate per una città di mare al tramonto, cercando il posto giusto per un aperitivo, o mentre fate la spesa al mercato sotto il sole con una borsa di stoffa e i sandali impolverati, mentre lavorate da remoto in una casa di villeggiatura con il rumore delle cicale in sottofondo, mentre salite in bici con il cestino pieno di frutta e un libro da leggere al parco (immagine molto da storytelling), o mentre vi sedete a un tavolino all’ombra per un pranzo lento con un’amica che non vedevate da mesi, sappiate che questo completo è fatto proprio per quei momenti lì: leggeri, informali, ma mai trascurati. Perché a volte basta sentirsi giuste nei propri vestiti per far girare bene tutto il resto, e lo so che è una frase frivola, ma la sto scrivendo lo stesso perché ci credo, come credo al potere di abituidinizzare i cambiamenti, al tenere alto l'umore, alle meringhe con la panna, le gelatine Bonelle (non a quelle incartate singolarmente), all'acqua e menta e ai lavandini abbastanza grandi da contenere un'anguria. Potrei proseguire quasi all'infinto con un elenco di cose a caso valide quanto la convinzione che vestirsi non è una cosa banale. Anzi.
Questa è la versione a quadretti, con la stessa composizione di quella a righine azzurre: 97% VI 3% EA. Ho voluto questo tessuto anche se era disponibile una piccola quantità, perché questo quadrettino mini mini mi è sembrato molto adatto a questo tipo di gonna. Sono disponibili solo pochissimi pezzi, se vi siete innamorate di lei, sbrigatevi.
Il tessuto che abbiamo scelto è volutamente viscosa. Volutamente viscosa, ovvero un'alternativa al cotone delle gonne con lo spacco della collezione dell'anno scorso (qui gli ultimi esemplari rimasti, in saldo). Non perché siano più o meno belle, più o meno comode, più o meno prestigiose. Semplicemente per darvi un cambiamento nella ripetizione. Infatti la viscosa si comporta in modo diverso dal cotone: avrete la stessa gonna, che so avete amato quanto l'abbiamo amata noi, ma con un effetto diverso, la stessa vestibilità ma una diversa caduta e fluidità.
La viscosa, rispetto al cotone, è più morbida al tatto, meno strutturata, leggermente più lucida alla vista. Segue il corpo in modo più fluido, si muove con leggerezza e crea una linea più dinamica, meno “ferma”. Il cotone, invece, ha una mano più asciutta, tiene maggiormente la forma e restituisce un effetto più netto, più grafico.
Con la viscosa la gonna accompagna il passo con più morbidezza, ha quel modo quasi liquido di muoversi che la rende perfetta per le giornate calde, per chi cerca freschezza e leggerezza ma non vuole rinunciare a una buona tenuta. Cambia anche il suono: il cotone fruscia, la viscosa scivola.
Questa è la versione nera, online da qualche giorno: è cotone e poliestere, quindi comunque diversa, comunque meno "ferma" della versione 100% cotone dell'anno scorso. La presenza del poliestere la rende più facile, più sfruttabile, più facile da lavare e da asciugare rispetto a quella in 100% cotone. È un po' meno traspirante (perché come vi spiego da sempre, le fibre naturali sono traspiranti), se vogliamo proprio trovarle un difetto, ma il profondo spacco davanti non vi farà pentire di averla indossata nemmeno nelle giornate più afose.
In sintesi, cambia la materia ma non l’intenzione. È la stessa cosa, ma in una lingua diversa.
In fondo è questo che intendiamo quando parliamo di abitudine: qualcosa che torna, che riconosciamo, che non smette di adattarsi a noi o che noi stesse adattiamo, quasi senza rendercene conto.
Nel latino medievale habitus si usava sia per definire una disposizione d’animo sia un modo di vestire (era riferito al vestiario dei monaci, da cui abbiamo preso, in italiano, la parola abito) e a pensarci, le due cose non sono poi così diverse.
Il nostro modo di stare al mondo passa anche da ciò che scegliamo di indossare ogni giorno.


