BELLA STRONZA

Una deviazione dal parlare di vestiti.

BELLA STRONZA

È da una settimana che voglio scrivere di Bella stronza, che cerco di trattenermi perché qui si vendono vestiti e si parla di cose leggere, anzi, leggerissime: al massimo si discute di libri con la profondità richiesta da un brand di moda, si consigliano scarpe da abbinare alle gonne e si decanta la bellezza di uno specifico punto di blu. Ho anche pensato di scriverne in modo sarcastico e chiudere consigliando t-shirt, gonne o calze parigine, ma il rischio della SFL è altissimo, e la parola "cringe" incombe ogni volta che ci serviamo al banchetto della conversazione culturale per vendere cose. Ricordo, per esempio, di aver provato un senso di straniamento quando ho visto che l’invito alla sfilata di Valentino Uomo alla Statale di Milano, l’anno scorso, era un’edizione personalizzata del libro Una vita come tante dello scrittore premio Pulitzer Hanya Yanagihara. Non so se sia perché sono provinciale, o per invidia (dato che vorrei associare ogni giorno libri e cultura alla moda, ma non mi sento abbastanza autorevole per farlo), o perché davvero quel libro è molto, molto triste e non riesco a pensarlo insieme ai vestiti, cose che mi danno tanta gioia. Ora ho deciso comunque di consegnarvi queste riflessioni – anzi, un’umile parafrasi di un pezzo del 1995 che non può essere riconsegnato al pubblico senza spiegazioni , con leggerezza. Mi guardo bene dal dire che va contestualizzato: no, questa cosa di contestualizzare non vale sempre. Magari contestualizziamo la povera Wendy Moira Angela Darling, che si compiace ad accudire i bambini sperduti sull’Isola che non c’è, sognando di essere madre mentre cuce i loro calzini e aspetta che Peter superi la crisi dei 31 anni; ma Bella stronza, no, non possiamo proprio contestualizzarla, e quindi parliamone.

L’edizione di Una Vita Come Tante per Valentino | The Narratives | Menswear SS24
credits Tik Tok @jack_edwards

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E ora mentre vado a fondo
Tu mi dici sorridendo “ne ho abbastanza”

Potrebbe finire qui, questa esegesi, perché di fatto dire “ne ho abbastanza” è un diritto, sacrosanto. Eppure, nel 2025 abbiamo capito che prendere il sole fa male e ha senso mettere la SPF tutto l’anno, che spostarsi solo in auto è una follia, che possiamo chiedere la ricevuta ai tassisti, che il lungo allunga, che il blu con il nero è elegantissimo, che è sempre prematuro criticare un trend che non ci convince, ma ancora non ci entra in testa che possiamo sfilarci sorridendo da una relazione di cui “ne abbiamo abbastanza”. In effetti è comprensibile: non è facile farlo, perché corriamo il rischio di sentirci dire che siamo delle stronze, nel migliore dei casi, o di finire al cimitero, nel peggiore ma purtroppo non necessariamente remoto. Ma il capolavoro in questi due versi non è il secondo, lapalissiano, bensì il primo: “E ora mentre vado a fondo”, un saggio di vittimismo di cui già nel 1995, l’anno in cui è uscita questa rabbiosa testimonianza di un amore tossico che la me quattordicenne conosceva a memoria, dovevamo fare a meno e che oggi, 30 anni dopo, non ci meritiamo.

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Bella stronza
Che ti fai vedere in giro
Per alberghi e ristoranti
Con il culo sul Ferrari
Di quell’essere arrogante
Non lo sai che i miliardari
Anche ai loro sentimenti danno un prezzo
Il disprezzo

La letteratura, l’arte e la musica sono messaggi universali e personali, generici e specifici, allegorici e reali. Non ci stupiamo se Marco nostro, nel 1995, arrabbiato con una che aveva scelto lui e poi ha cambiato idea, abbia deciso di dirlo a tutti scrivendo una canzone. Mi viene in mente Trasfigurazione di Sibilla Aleramo, una cosa che forse abbiamo letto solo in dieci, una novella che è più una lettera (come Bella stronza è una canzone che è più una lettera), e vi faccio questo esempio sia perché è una cosa di nicchia e mi piace tirarmela, sia perché è un esempio spostato al femminile, anche se – ricordiamocelo sempre – la violenza di genere si chiama violenza di genere perché è violenza di genere; e dunque l’esempio di Sibilla Aleramo, gelosa, triste e arrabbiata che scrive sola e triste in Corsica, vale solo per dire che da sempre la scrittura pubblica è stata asservita alla messaggeria privata, non perché io pensi che il povero Giovanni Papini, un esempio di letterato pusillanime di inizio secolo, sia una vittima. Insomma, Aleramo, che nel 1912 era già molto conosciuta per il romanzo Una donna, incontra Papini, che allora aveva 31 anni e questa faccia qui,

Giovanni Papini nel 1912
credits SIBILLA ALERAMO E IL SUO TEMPO. Vita raccontata e illustrata
a cura di Bruna Conti e Alba Morino, Feltrinelli 1981

si innamorano molto e quando la moglie di lui, Giacinta (con cui aveva due figlie), scopre la relazione, lui, come da copione, decide di mettere fine alla storia con l’amante. Aleramo chiede gentilmente a Giacinta di farsi da parte in una lettera, ma invece di spedirla la fa pubblicare su “La Grande Illustrazione” e poi, qualche anno dopo, in un volumetto della casa editrice Bemporad. Un “Bello stronzo” ante litteram, tuttavia con contenuti assai più eleganti:

«…Sono io, sì. Voglio che parliamo un poco; bisogna che io parli, e che tu mi ascolti.
Ti do del tu, sì. Da tante settimane non fai mentalmente lo stesso anche tu?»

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Perché forse io ti ho dato troppo amore
Bella stronza che sorridi di rancore

Esiste oggi un termine che descrive il concetto in modo ineccepibile: love bombing . È chiaro a tutte che questa roba qui è tutta sbagliata, o no? Non credo, e l’ho appurato da alcuni commenti scritti da donne, trovati sotto un video di Bella stronza, in particolare uno. Se ancora non tutte riusciamo a riconoscere questi meccanismi, perché diffondere ancora oggi questa visione tutta sbagliata dell’amore?

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Ma se Dio ti ha fatto bella
Come il cielo e come il mare
A che cosa ti ribelli
Di chi ti vuoi vendicare
Ma se Dio ti ha fatto bella
Più del sole e della luna
Perché non scappiamo insieme
Non lo senti questo mondo come puzza

Questa cosa dello scappare insieme da un mondo brutto e cattivo sembra così romantica. Nel 1995 forse l’ho pensato. Terrificante.

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Ma se Dio ti ha fatto bella
Come un ramo di ciliegio
Tu non puoi amare un tarlo
Tu commetti un sacrilegio

Metafora deliziosa, tra l’altro rimata benissimo, sembra una poesia e devo dire che il ramo di ciliegio è super evocativo. Se avessi 14 anni oggi, nel 2025, riuscirei ad andare oltre l’immagine di un ramo di fiori rosa, il fascino per la parola “sacrilegio”, riuscirei a non farmi lusingare dal pensiero di non poter amare un tarlo perché sono troppo bella e di dover amare chi mi dà troppo amore? Non so, usare la mia testa di allora è un esercizio impossibile, ma mi chiedo come passeranno queste parole in rima a una quattordicenne di oggi, o a un quattordicenne di oggi che probabilmente venerdì prossimo sarà sul divano a guardare la “serata duetti” di Sanremo.

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E ogni volta che ti spogli
Non lo senti il freddo dentro
Quando lui ti paga i conti
Non lo senti l’imbarazzo del silenzio

Vorrei scrivere qualche riga citando “Tony comprami la borsa”, ma qui mi viene solo da dire: Amen.

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Perché sei bella, bella, bella Bella stronza
Che hai chiamato la volante quella notte
E volevi farmi mettere in manette
Solo perché avevo perso la pazienza
La speranza, sì, bella stronza

Non che mi aspetti una filastrocca di Rodari o un duetto con Topo Gigio, ma questa sestina è inquietante. Forse i due la portano a Sanremo con il fine di spiegare che “solo” può essere usato anche come avverbio? Non credo.

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Ti ricordi
Quando con i primi soldi
Ti ho comprato quella spilla
Che ti illuminava il viso
E ti chiamavo la mia stella
Quegli attacchi all’improvviso
Che avevamo noi di sesso e tenerezza

Classic tutto. Ho trovato in proposito un commento estasiato per questa strofa sotto un video amarcord nel feed di Masini.

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Bella stronza, sì
Perché forse io ti ho dato troppo amore
Bella stronza che sorridi di rancore

Repeat, per sicurezza, e quel “forse” rende tutto ancora più patetico: gli avverbi possono ribaltare il risultato, si sa, o meglio manipolare la percezione. Lo stesso verbo con un avverbio diverso diventa tutta un’altra cosa, e usare gli avverbi per lanciare il sasso e nascondere la mano è una pratica molto diffusa che non condivido. Non capisco perché con gli avverbi siamo così tolleranti, dico sul serio.

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Esci dai tuoi pantaloni, mi accontento
Come un cane degli avanzi

Questo “esci dai tuoi pantaloni”, che può sembrare una semplice immagine introduttiva all’aberrante serie di versi successiva, è più che una semplice immagine. Uscire dai pantaloni, se vogliamo fare una parafrasi – e siamo qui per questo, perché questa roba non può essere data in pasto al pubblico facendo finta che non siano parole imbarazzanti e pericolose – significa smettere di “fare” la donna forte (l’immaginario della donna con i pantaloni non si è evoluto poi così tanto, ma vediamo come interpreteranno il cliché al Met Gala di quest’anno, can’t wait), perché chiaramente le donne sono fragili, deboli, devono essere salvate da questo mondo che puzza e dai ricconi che le comprano regalando loro borse. Forse il duetto potrebbe essere introdotto da un monologo di Walter Nudo, per completare l’opera.

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Perché sei bella, bella, bella
Mi verrebbe di strapparti
Quei vestiti da puttana
E tenerti a gambe aperte Finché viene domattina
Ma di questo nostro amore
Così tenero e pulito
Non mi resterebbe altro che un lunghissimo minuto di violenza
E allora ti saluto, bella stronza, eh

Qualcuno si sta chiedendo se Marco e Federico Leonardo cambieranno il testo. Ieri finalmente è uscito un pezzo che discute questa scelta: Sara Usleghi su Wired mette le mani avanti, “c’è sempre la possibilità che Fedez e Masini decidano di cambiare il testo”, in perfetto stile “lancio il sasso e nascondo la mano”. È da una settimana che aspetto che qualcuno scriva di quanto sia inopportuno, fuori luogo (la SFL è una sindrome diffusissima e spesso non riconosciuta, secondo me) rimettere in circolazione questa canzone, che spieghi quanto è sbagliata e perché lo è. Tre giorni fa Alberto Pellai ci ha provato con un post su Instagram: “Questa canzone fu scritta nel 1995. In 30 anni abbiamo sviluppato una cultura della prevenzione della violenza di genere che – ne sono certo – a Marco Masini farebbe scrivere questa canzone con altre parole.” Marco Manca ne scriveva già il 27 gennaio su Vanity Fair, ma invece di spiegarci che il testo è un concentrato di sessismo, sceglie di chiedersi “ma siamo sicuri che metta la musica al primo posto e non qualcos’altro?”, come se il punto fosse davvero capire a chi è “dedicata”. Manca sostiene anche che Federico Lucia “giochi con l’ambiguità con una certa consapevolezza”, cioè gli dà addirittura il beneficio del dubbio. Anche prima di leggere “una certa consapevolezza” avevo contezza della necessità di spiegare bene questo testo. Ora credo che la necessità sia diventata urgenza. A questo punto mi chiedo anche se metteranno il segreto di stato sulle motivazioni che hanno indotto Carlo a dire a Fedez “ok, carino questo ricaccio di Masini, fatelo”.

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Che hai distrutto tutti i sogni
della donna che ho tradito
che mi hai fatto fare a pugni
con il mio migliore amico

Ho lasciato per ultima la prima strofa perché non volevo tediarvi subito, ma giuro, la prima cosa che ha fatto il mio cervello riascoltandola dopo tanti anni è stata aprire il cassetto (mentale) in cui conservo l’inizio del primo canto del Paradiso, perché davvero mi serve lo stesso sforzo di comprensione per farne la parafrasi. Nel caso del dramma di Masini c’è un intreccio di colpe tutte spostate lontano da lui, che passa come vittima totale, costretto a ferire il proprio migliore amico e preoccupato per lo stato d'animo della ex, il tutto perché irretito da una donna bella e stronza; nel caso di Maria, invece, si tratta di un insieme di meriti resi un po’ complessi dal fatto che il concepimento non andò come succede di solito nella vita reale, e quindi quella che è madre è anche figlia, ma del figlio stesso in quanto fuso in Trinità col Padre, il quale è padre generale dell’umanità e non solo padre del figlio stesso. Ma il livello di difficoltà per strecciare il tutto, nella mia mente semplice e nel mio mondo in cui smalto e libri compaiono spesso nella stessa frase, è analogo.

Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d’etterno consiglio,
tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ’l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.